Laurea magistrale in Scienze Storiche

Università degli Studi di Padova, data di discussione 13 marzo 2014, relatori proff. Dario Canzian e Giovanni Catapano, votazione 110/110 e lode.

L’impero e le due città. Storia universale, politica ed escatologia nella Chronica di Ottone di Frisinga

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Riassunto

Il percorso che mi ha portato a questo studio è iniziato nel 2010 quando, sotto la guida del prof. Giovanni Catapano, ho concluso il mio percorso di laurea triennale in Filosofia con la tesi Il rapporto tra le due città nel libro XIX de La città di Dio di Sant’Agostino, in cui l’analisi della mescolanza delle due città durante questa vita e della pace come elemento di incontro tra queste due comunità mistiche conduce a delle considerazioni sul ruolo e il valore dell’istituzione politica a cui tutti gli uomini partecipano. Da questa riflessione presero forma diverse correnti di pensiero, riassunte nella formula agostinismo politico, che caratterizzarono gran parte del pensiero politico medievale.

Il desiderio di riprendere e approfondire queste tematiche nella tesi di laurea magistrale, compatibilmente con il percorso di studi del corso di Scienze Storiche, mi ha avvicinato alla figura e al pensiero di Ottone di Babenberg, fratellastro di Corrado III e zio di Federico Barbarossa, monaco cistercense e poi vescovo di Frisinga, in gioventù allievo di alcuni dei più importanti maestri dello studio di Parigi, e in particolare alla Chronica sive Historia de duabus civitatibus, opera con cui il genere della storia universale medievale raggiunse la sua forma più compiuta. Osservatore privilegiato degli eventi della sua epoca (la lotta per le investiture, la seconda crociata, le continue tensioni interne al regno di Germania e il tumultuoso sviluppo dei comuni italiani), Ottone impostò il percorso storico – dalla creazione alle fine dei tempi – prendendo a modello il De civitate dei di Agostino, l’opera patristica che meglio di qualunque altra tratta del significato della storia e del destino finale dell’umanità, e le Historiae adversus paganos di Orosio, il modello tardo-antico di storia universale.

Lo studio si basa dunque sull’analisi della Historia de duabus civitatibus, il cui testo latino in edizione critica è stato curato da Adolf Hofmeister nel 1912 per i Monumenta Germaniae Historica e di cui ancor oggi manca una traduzione italiana. Accanto alla Chronica è fondamentale in confronto con Agostino e Orosio: i passi delle Historiae adversus paganos, con relativa traduzione, provengono dall’edizione curata da Adolf Lippold nel 1976 per la Fondazione Lorenzo Valla (il testo latino è quello edito nel 1882 da Karl Zangemeister per il Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum) mentre le citazioni del De civitate dei sono tratte dall’edizione di Bernhard Dombart e Alfons Kalb del 1955 per il Corpus Christianorum, accompagnate dalla traduzione curata nel 2011 da Domenico Marafioti. Coerentemente, anche per le opere di altri autori sono state utilizzate le edizioni critiche più recenti disponibili, con il testo italiano in nota nel caso di opere di cui si disponga di una traduzione. Le citazioni dell’altra opera storiografica di Ottone, i Gesta Friderici imperatoris, sono tratte dall’edizione critica curata da Georg Waitz nel 1912, sempre per i Monumenta Germaniae Historica: in ogni caso esse li limitano a completare argomentazioni su questioni sorte dall’analisi della Chronica. Non è stato utilizzato materiale inedito o manoscritto.

Diversamente dalla prima impressione che l’opera potrebbe dare, a partire dal titolo, il ruolo che Ottone affida all’impero all’interno dell’unica storia della salvezza non costituisce una semplice ripresa del pensiero agostiniano e orosiano, ma presenta diversi aspetti di novità: questo lavoro intende mostrare in quale modo, e con quali risultati, Ottone tentò una sintesi tra queste due visioni, che presentano somiglianze ma anche importanti differenze, alcune delle quali a prima vista insormontabili; il nostro autore ritenne però di avere gli strumenti necessari per superarle, potendo raggiungere un’unica visione della storia umana. Lo studio quindi è su Ottone di Frisinga, ma in realtà i protagonisti sono tre.

Le Historiae di Orosio furono una fonte e una guida molto importante per gli autori medievali, in particolare per coloro che trattarono la storia in una prospettiva universale. Il tema della translatio imperii – dagli Assiri ai Romani, passando per Greci e Cartaginesi – legata al disegno salvifico divino costituisce l’asse portante della storia orosiana, trasmettendo ai posteri l’idea di un percorso unitario delle vicende terrene, fino ad affermare la continuità dell’impero romano anche nelle popolazioni germaniche. Attraverso l’interpretazione delle profezie contenute nel libro di Daniele, Orosio compose un’opera in cui tutta la storia pagana è riletta alla luce della novità cristiana e inserita in un unico disegno provvidenziale. Il quarto e ultimo impero, quello romano, unì tutti i popoli favorendo la diffusione del cristianesimo, che con la sua affermazione definitiva trasformò questa istituzione terrena, rinnovandola e rendendola guida della Cristianità verso la salvezza finale.

Altra guida riconosciuta da Ottone è Agostino e il De civitate dei, opera apologetica in cui il vescovo di Ippona riflette sul significato della storia, individuando alla base del suo percorso la divisione nelle due città mistiche, la civitas terrena, caratterizzata dall’«amore di sé fino al disprezzo di Dio» e composta da Satana, gli angeli caduti e gli uomini destinati alla dannazione, e la civitas caelestis, in cui prevale «l’amore di Dio fino al disprezzo di sé» (cfr. De civitate dei XIV, 28), abitata dagli angeli rimasti fedeli a Dio e dagli uomini salvati dalla grazia divina. Questa bipartizione caratterizza tutta la storia terrena, dividendo l’umanità dedita alla vita secondo la carne (da cui presero forma i regni e gli imperi) da un ristretto gruppo di eletti (una parte del popolo ebraico); l’Incarnazione modificò i rapporti tra le due città, aprendo la salvezza anche ai pagani. La nascita, nel IV secolo, di un “impero cristiano” con Costantino mise in difficoltà Agostino, obbligandolo a una trattazione di carattere politico, contenuta nel libro XIX: attraverso una riflessione sul tema della pace come bene a cui tutti gli uomini aspirano, Agostino giunse alla conclusione che nella Chiesa le due città mistiche permangono, senza la possibilità di una “salvezza collettiva” della Cristianità, e in questa permixtio tra buoni e cattivi, lo Stato resta un’istituzione legata alla vita secondo la carne; quest’ultimo però, se retto da buoni governanti, può favorire il raggiungimento di alcuni beni terreni utili per una serena vita terrena, anche se non necessari alla salvezza eterna.

Seguendo gli esempi della tarda Antichità, anche gli autori medievali di cronache universali si prefissarono come obiettivo l’unità del percorso storico, cercando in tutti i modi di scovare, nelle persone e negli eventi, quegli elementi di continuità che superassero i cambiamenti e le trasformazioni di cui la storia è ricca e che non potevano fare a meno di registrare, utilizzando periodizzamenti di vario genere. In certi casi fecero anche di più, tentando di piegare tali mutamenti della storia alla causa della sua unità, non senza ritocchi ed espedienti ad hoc.

La rota fortunae, simbolo della mutatio rerum
La rota fortunae, simbolo della mutatio rerum

Accanto alla mistica delle due città e alla successione imperiale, Ottone pone alla base del percorso storico e dei rapporti tra le istituzioni che governano la Cristianità la mutatio rerum, resa plasticamente dall’immagine della rota fortunae, rappresentazione delle sorti alterne a cui è soggetta la condizione umana: raggiunto l’apice di un processo, lì ha inizio il suo inevitabile declino. A questa immagine Ottone fa riferimento più volte nella Chronica, perché è solo comprendendo come le cose del mondo siano soggette al mutamento – non casuale ma dettato dagli imperscrutabili giudizi divini – che gli eventi acquistano il loro corretto significato. La decadenza del mondo è dimostrata inoltre dal continuo spostamento da est a ovest del potere terreno (la translatio imperii) e della conoscenza (la translatio studii), che nel XII secolo hanno raggiunto il loro stadio finale.

La divisione dell’umanità nelle due città mistiche rappresenta il quadro più ampio in cui la storia è inscritta, precedendo la creazione dell’uomo e perdurando fino alla fine dei tempi. Ottone nella Chronica non rinnega mai questo schema, che anzi è ribadito in tutta la sua grandezza nell’ultimo libro, con la distruzione finale della città terrena e la glorificazione della città di Dio. Trattando della storia terrena Ottone cerca però di adattarlo alle trasformazioni dell’Europa medievale a cui Agostino non poté assistere: da qui l’idea di un’unica civitas, la Chiesa, che comprende in sé tutti gli uomini che hanno ricevuto il messaggio cristiano, a prescindere che lo seguano o meno, e tutte le loro istituzioni, politiche e religiose; la presenza del mondo islamico, dal punto di vista di Ottone un’evidente civitas diaboli sulla terra, poteva forse aver influito a favore di una simile soluzione. Questa unica comunità, che Paolo Brezzi aveva ipotizzato come ideale anche di Agostino chiamandola civitas terrena spiritualis, vive sulla terra rivolta però ai beni eterni, in una mescolanza di buoni e cattivi. Agostino non aveva escluso una possibilità simile, ma la riteneva di fatto irrealizzabile, ripiegando sull’accettazione passiva dell’autorità politica costituita, entità espressione di valori terreni e non necessaria alla salvezza dell’uomo.

Per dare maggiore importanza agli eventi della storia terrena, inscrivendoli in un unico percorso provvidenziale e mitigando le conseguenze della rigida visione agostiniana, Ottone è aiutato dalla successione imperiale nell’interpretazione di Orosio. Nino diede inizio all’impero assiro e durante il suo regno nacque Abramo; la dignità imperiale passò ai Persiani, poi ai Greci al tempo di Alessandro Magno e infine ai Romani con l’impero di Augusto. Roma era destinata a essere l’impero più grande e potente, perché quando Cristo nacque in piena Pax Augustea la grazia di Dio poté passare dagli ebrei ai pagani, diffondendosi in tutto il mondo conosciuto. Anche Ottone è convinto che l’impero romano, con l’affermazione del cristianesimo, si sia trasformato, occupando un posto nella Chiesa e rinunciando in parte alla sua universalità. In quel momento il declino dell’istituzione imperiale, iniziato con l’Incarnazione, divenne sempre più marcato. La fine dell’impero d’Occidente viene superata da Ottone con la translatio interna all’impero romano, prima con un ritorno ai Greci, poi ai Franchi e infine ai Germani. Passato l’ultimo periodo di splendore con le dinastie carolingia e ottoniana, reso possibile dall’accordo e dalla collaborazione tra papi e imperatori, il potere spirituale acquistò sempre più forza a scapito del potere temporale, giungendo all’apice dello scontro alla fine dell’XI secolo, con la scomunica di Enrico IV.

Da convinto sostenitore della lotta al malcostume ecclesiastico e della libertas ecclesiae, Ottone critica fortemente le pratiche simoniache e la mondanizzazione del clero, ma non condivide le conseguenze politiche più estreme della riforma gregoriana, riservando dure parole contro i prelati che gioiscono dell’umiliazione del potere imperiale. Ottone dunque sposa apertamente l’ideale gelasiano della corresponsabilità delle potestates nella guida della Cristianità e la necessità della loro collaborazione per mantenere la pace e l’ordine. Non c’è quindi da stupirsi quando il vescovo di Frisinga, membro di spicco della nobiltà tedesca, già nella Chronica ma soprattutto nei successivi Gesta Friderici imperatoris riserva un giudizio tutt’altro che benevolo alla grande novità del suo tempo, le organizzazioni comunali – accusate di minare il naturale ordine politico – e in particolare il comune romano, stretto tra il papato, l’impero e il riformismo radicale di Arnaldo da Brescia.

L’ideale imperiale in Ottone resta vivo fino ai tempi ultimi, e in questo risiede la sua universalità anche dopo l’affermazione della Chiesa. Nel momento in cui l’equilibrio tra i poteri venne meno, con l’autorità spirituale che privò la secolare di quel poco potere che gli rimaneva, l’impero portò a termine il proprio compito: instabilità, guerre e ribellioni caratterizzano infatti la storia più vicina a Ottone, segno che la fine del mondo era ormai prossima. Con la Parusia qualunque istituzione terrena perde il proprio significato, lasciando nuovamente spazio alle due città per il giudizio finale.

Nella sua opera storiografica, che per il suo carattere universale conduce ad ampie riflessioni di carattere politico approdando infine a una trattazione escatologica, Ottone rimase fedele alla tradizione, che non intendeva in alcun modo mettere in discussione, considerandola però alla luce della complessa storia di rapporti e commistioni tra temporale e spirituale vissuta dall’Europa medievale, con un approdo al proprio secolo tutt’altro che felice. Ottone non poté sposare in pieno una singola visione, perché la realtà dei fatti non glielo permetteva; le adottò entrambe in un fruttuoso tentativo di adattare delle concezioni ideali alle necessità pratiche proprie di un’attività storiografica e di un’analisi politica.